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Meditazioni sul Purgatorio
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10° Giorno: CIRCOSTANZE DEL PURGATORIO
Ne ricordiamo tre:
1) quanto siano acerbe le pene del purgatorio;
2)quanto sia lunga la durata di esse;
3) come quelle anime siano impotenti a soccorrersi da sé.
Per comprendere un poco le pene del purgatorio è bene
considerare che dopo la nostra morte tutti i nostri desideri si
concentrano in un unico desiderio: vedere Dio, possederlo,
goderlo. È come una fame potentissima, che non può essere
saziata che da Dio! È come una sete ardentissima, che brucia
e non può che sentire refrigerio da Dio! Santa Caterina [da Genova] spiega così: «Supponete che nel mondo vi sia un
solo pane che possa sfamare gli uomini; che gli uomini non
possano giungere a mangiarne; tutti vi tendono con ardente
desiderio! Ebbene Iddio è davvero il Pane Celeste cui solo
ogni anima sospira dopo il passaggio all’eternità. E quale
tormento è quella fame! Supponete che vi sia una sola acqua
che possa dissetare l’anima: e quest’acqua vien chiesta e non
è data! Dio è la Fonte dell’acqua che sale alla vita eterna. E
l’anima assetata deve vederla di lontano e non può accostarvi
le labbra! Come un febbricitante che ha gran sete, ma non
può avere la goccia che chiede.
Quando un’anima su la terra ha gran fame e sete della
giustizia di Dio, poco tempo sospirerà quel Pane e quell’Acqua; ma quando fu languida in tali desideri sarà tormentata tanto da quella fame e da quella sete».
S. Tommaso si esprime così: «Quanto più ardentemente si
desidera una cosa, tanto più doloroso riesce esserne privi.
Ora, essendo intensissimo il desiderio che hanno di Dio le
anime sante dopo questa vita, ne consegue che, se il possesso
di Lui vien loro ritardato, ne soffrono sommamente». E come
S. Tommaso la pensava pure il Venerabile S. Beda, il quale,
nel 18° Discorso che ha fatto sui Santi, disse così: «Se bisognasse soffrir anche ogni giorno e tollerar per breve tempo lo
stesso fuoco infernale, per esser degni di veder Gesù Redentore nella sua gloria, ed essere nel numero dei beati, non
converrebbe forse patir tutti i dolori, per esser fatti partecipi
d’un tanto bene e di tanta gloria?».
Il Suarez poi – anch’egli di questa idea – si spiega ancor
meglio; e nel suo trattato sul Purgatorio, nella Sezione 3ª, dice: «La gravità di questa pena del danno, per le anime purganti, deriva anzitutto dalla grandezza del bene di cui sono
prive. Ora la visione di Dio e la beatitudine celeste è un bene così grande che il possederlo, anche per un solo giorno,
supera tutti i beni di questa vita presi insieme, e posseduti per
lungo tempo, e sarebbe premio assai sovrabbondante a tutte
le opere che potrebbero farsi e a tutte le afflizioni che potrebbero tollerarsi durante la vita. Dunque il ritardo di un
tanto bene, e l’esserne privi, sia pure temporaneamente, è un
male grandissimo, che supera di gran lunga tutte le pene
della vita.
In secondo luogo deriva dalla cognizione che quelle anime hanno chiarissima del loro male e dal sapere che, se soffrono, è per loro colpa e negligenza.
In terzo luogo deriva finalmente dall’amore intensissimo
con cui si sentono portate a Dio, e quindi dal desiderio, pur
esso vivissimo, di vederlo e di possederlo; ond’è che non
possono a meno che penare sommamente, vedendo ritardato
l’appagamento di tal loro desiderio».
Quale sia la durata delle pene delle anime purganti. Su
questo il Concilio di Trento, come la Chiesa, tacciono; ma
possiamo tuttavia ricordare alcune cose che molto ci fanno
pensare e temere.
Anzitutto: altra è la durata assoluta e altra la durata relativa. La prima sarebbe il tempo che realmente l’anima passa
nel purgatorio; la seconda l’impressione che l’anima sente di
tale tempo, e significa che a chi soffre, anche una breve pena
pare un lunghissimo tormento!
Deve rimanere molto l’anima nel Purgatorio?
Il Divin Maestro ci fa intravedere qualcosa con queste parole: «Conformatevi alla Legge di Dio, acciocché non abbiate a cadere nelle mani dei carnefici, che vi rinchiudano in
quelle prigioni dalle quali non si esce, fino a quando si sia
pagato anche l’ultimo spicciolo»[cf. Mt 5,17-26]. Dall’inferno non si esce più; dal purgatorio si esce; ma soltanto dopo pagato l’ultimo spicciolo.
La durata del purgatorio è in proporzione dei nostri debiti
con Dio: «di ogni parola oziosa gli uomini renderanno conto
nel giorno del giudizio» [Mt 12,36]. Renderanno conto non
per condanna all’inferno di una parola oziosa, evidentemente; ma per pagare ogni debito in purgatorio.
È quindi un abisso imperscrutabile quello che consideriamo. Dovremmo conoscere: da una parte le grazie ricevute ed
i nostri debiti con Dio con precisione; dall’altra in modo
chiaro la nostra corrispondenza dalla parte della mente, del
cuore, delle opere, delle parole. Ma chi lo può?
Certo la Giustizia di Dio può accelerare l’uscita con intensificare quelle pene; certo Essa può accettare in loro espiazione suffragi dai vivi; certo il purgatorio sarà chiuso dal
giorno della fine del mondo. Ma con tutto questo, quanta incertezza e timore per ognuno di noi! «Anche se non sono
consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato» diceva San Paolo [1Cor 4,4].
Il profeta Davide peccò; e poi si pentì ed il Signore gli
diede il perdono. Tuttavia il castigo del suo peccato fu ben
lungo e penosissimo. Ciò significa che anche del peccato
perdonato è necessario scontare la pena; vi è chi la sconta di
qua; ma vi sono molti che attendono la morte senza una degna soddisfazione. Per questo la Chiesa accetta fondazioni
perpetue di Messe e impone di soddisfare ai legati anche dopo secoli dalla morte dei testatori.
Si legge nella vita di Santa Ludgarda
1) che essa ebbel’apparizione di Papa Innocenzo III,
2) nel medesimo giorno in cui questo grande Pontefice era morto. Era circondato da
fiamme, e disse: «Sono Papa Innocenzo». «Possibile che voi,
rispose Santa Ludgarda, siate in tale stato?». «Sì, rispose il
defunto; pago la pena di tre falli che ho commessi, e poco
mancò che per essi precipitassi all’inferno. La Madonna mi
ottenne il dolore ed il perdono, ma ora ne devo scontare anche la pena. Questa durerà fino al giorno del giudizio, se non
mi aiuterete voi. Per amor di Maria, soccorretemi, presto».
Il Cardinale S. Roberto Bellarmino dice così, commen
tando tale esempio nel libro Del gemito della Colomba: «Se
un Pontefice, così degno di lode, e che da tutti era stimato
non solo buono e prudente, ma santo e degnissimo di essere
imitato, poco mancò che non precipitasse nell’inferno, e doveva penar nel purgatorio fino al giudizio finale, chi non temerà, chi non tremerà?».
Le anime del purgatorio non possono soccorrere se stesse.
Uscita l’anima dal corpo, è terminato il tempo in cui poteva
essa soddisfare con penitenza fruttifera, per sé, ai suoi debiti.
Nel purgatorio le anime possono venire aiutate dai suffragi
dei vivi, ma non possono soddisfare per sé, come possiamo
fare noi nella vita presente.
Se potessero soddisfare nel modo che è possibile sulla terra, tanto è il loro patire e tanto l’amore con cui sopportano,
che in un momento se ne volerebbero al cielo.
Il Signore ha dato a noi le chiavi del purgatorio, ma non
ad esse. Da sole, senza il soccorso, dovrebbero rimanersene
colà fino alla completa soddisfazione.
È perciò molta la nostra responsabilità: poiché, da una
parte, soltanto noi possiamo liberarle; e dall’altra, tanti sono i
mezzi di aiutarle, come i Rosari, le indulgenze, le SS. Messe,
ecc.
Vi sono tanti che dopo la morte dei loro cari, quasi subito
li dimenticano: altri invece pensano a procurare una solennità
esteriore di funerali, accompagnamenti, ricordi, tombe, fiori.
Queste cose devono curarsi come i vestiti per la persona, cioè
con quel decoro e proprietà che si addicono al defunto ed al
suo grado. Spesso però, dice S. Agostino, sono piuttosto pompa dei vivi che sollievo ai defunti. Assai più importano le
preghiere ed i suffragi per il povero trapassato.
Una signora comparve dopo morte ad una persona. Si mostrò per molte notti in uno stato pietosissimo; né solo ad una
suora, ma a diverse suore, che ne raccolsero un salutare spavento. Era stata in vita una signora molto benefica: aveva
dato con gran generosità ai poveri, alle Missioni, all’Apostolato Stampa, agli orfani dei Caduti in guerra, ecc. ecc. Molta
era la pietà e l’esemplarità di sua vita; poiché ascoltava ogni
giorno varie SS. Messe, faceva quotidianamente la Comunione; viveva dedita alle cure della famiglia e ritirata. Godeva
stima universale. I motivi del suo purgatorio erano: un po’ di
vanità nel beneficare, un carattere alquanto pronto a deprimersi o risentirsi, alquanto di eccesso nel parlare. Ma erano
difetti così piccoli che solo una persona molto attenta poteva
rilevarli. Eppure rimase a lungo in purgatorio! Nonostante
che per lei si siano fatti molti, molti suffragi.
Una pia giovanetta aveva condotta una vita innocente,
esemplarissima. Prima era stata in famiglia, poi, entrata in un
istituto religioso, aveva mostrata somma diligenza nell’osservanza di ogni minima regola. Vi fu così fedele da uscirne
gravemente malata; ed un anno intero, consumata dal terribile male, si preparò nella pazienza e nella preghiera al suo
passaggio, edificando tutti quanti l’accostavano.
Prima di morire, dopo ricevuta la S. Comunione dal fratello Sacerdote, fece a lui la promessa di venirgli a portare un
segno del suo ingresso in paradiso. Il fratello, appena spirata,
cominciò a celebrare per lei la S. Messa e continuò per un
anno aspettando il segnale promesso e moltiplicando preghiere, indulgenze, mortificazioni. Soltanto dopo un anno
ebbe l’atteso segnale, una mattina, quando essa si fece sentire
al modo che usava in vita per chiamarlo. Diceva perciò quel
Sacerdote: Se solo dopo un anno, con tanta innocenza e penitenza di vita, con tante Messe e suffragi, poté entrare in
cielo, quale spavento! È ben rigoroso Dio nella resa dei conti, poiché anche sul letto di morte era stata favorita di tante
indulgenze.
PRATICA: Introduciamo nelle comunità, famiglie e vita nostra
l’abitudine della Confessione e Comunione il giorno terzo, settimo,
trigesimo e anniversario della morte dei nostri Cari.
GIACULATORIA: Cuore di Gesù, siate l’asilo e la speranza dei
morenti e delle anime purganti.
FRUTTO
Cercate di acquistare un cuore di sentire molto delicato per le
umane miserie e per le anime degli agonizzanti e del purgatorio,
iscrivendovi all’Opera del Cuore Agonizzante di Gesù.
Fondata nel 1848 dal P. Leonardo della Compagnia di Gesù,
l’Associazione è stata eretta in Arciconfraternita da Pio IX, il 24
agosto 1867 nella chiesa patriarcale di Gerusalemme, sotto l’alta
direzione di Sua Eccellenza il Patriarca di Terra Santa.
Scopo. – Questa confraternita ha lo scopo: 1° di onorare con un
culto speciale il Cuore sofferente ed agonizzante di Gesù, soprattutto al Giardino degli Ulivi, e il Cuore afflittissimo di Maria, durante la Passione del suo Divin Figlio; 2° di ottenere, per questa
misteriosa agonia del Figlio e della Madre, la grazia di una buona morte alle 140.000 persone circa, che ogni giorno muoiono nel
mondo intiero, e la consolazione cristiana a tutti gli afflitti.
Motivi di zelo. – Oggi 140.000 persone vanno a comparire al
Tribunale del Supremo Giudice. 97 al minuto. 51 milioni all’anno.
«Voi potete salvarne molte con la preghiera; è un vero aposto
lato».
Per i nostri defunti. Del Beato Giacomo Alberione